HomeInterviste"Mixology a San Francisco? Una cosa seria". Intervista a Massimo Stronati

“Mixology a San Francisco? Una cosa seria”. Intervista a Massimo Stronati

“La mixology a San Francisco? Non è come in Europa… anche se molte tendenze sono simili a quelle del resto del mondo”. L’intervista a Massimo Stronati, “eroe dei due mondi” del bere miscelato.

Milanese, una lunga carriera all’ombra della Madonnina dove è stato bar manager di locali celebri come il Davai e il The Doping Club, dal 2017 Massimo Stronati si è trasferito negli Stati Uniti, più precisamente in California, dove oggi è head bartender di Donato & Co. Anche se in queste settimane è tornato temporaneamente a Milano per curare l’avviamento della nuova Tequileria di Davide Lacerenza (ne abbiamo parlato qui).

Nicole Cavazzuti di ApeTime lo ha intervistato per scoprire le tendenze della mixology nella west coast… e per avere qualche “dritta” sui migliori locali da visitare a San Francisco.

Nicole Cavazzuti e Massimo Stronati

L’intervista a Massimo Stronati

Dopo tanti anni di esperienza al di qua e al di là dell’oceano, quali sono le differenze (e le analogie) che hai trovato fra questi due mondi?
L’America è molto diversa dall’Italia e soprattutto dall’Europa anche se la west coast, in particolare San Francisco, non sembra essere del tutto America: non a caso viene sempre indicata coma la più europea tra le città americane. Probabilmente è il risultato del melting pot che fin dall’era degli hippy non è mai cessato, anzi negli ultimi anni è forse aumentato.

Ok, ma a livello di mixology?
Il concetto di craft of the cocktails, ovvero il cocktail fatto bene e ricercato, qui è una cosa seria, ma il bello è che non amano prendersi troppo sul serio, cercano di fare bene le cose senza gridarlo in giro… Ad esempio il Trick Dog, uno dei miei locali preferiti a San Francisco, è stato premiato a Tales of the Cocktail a New Orleans come World Best Cocktail Menu, ma il trofeo manco lo espongono! Questione di stile… E a proposito di stile, tutto sembra facile e immediato, ma la preparazione della linea dei drink è una parte fondamentale in un bar di medie dimensioni (una cinquantina di posti) ma sempre pieno di avventori. I menù del Trick Dog sono dei veri e propri libri con fantastiche illustrazioni: quello attuale è pieno di disegni e ricette e se vuoi puoi portarlo a casa pagando 35 dollari, di cui una parte viene devoluta in beneficenza. Voglio però ricordare anche il menù precedente, che è stato accompagnato da 13 murales artistici (di cui uno doppio) in giro per la città, ognuno realizzato da un artista diverso in una zona diversa di San Francisco e corrispondenti ai 14 drink della lista. Ma al Trick Dog si mangia anche: sul soppalco vi sono i tavoli del ristorante mentre al bancone e tutto attorno c’è la lounge del bar. Del resto, a San Francisco la maggior parte dei bar serve food e spesso non solo snack ma veri e propri dinner.

Trick Dog, San Francisco

In generale, quali sono le tendenze del bere miscelato sulla west coast?
La miscelazione a San Francisco, come anche in moltissime altre zone degli Stati Uniti, risente delle contaminazioni culturali e culinarie dei molti popoli presenti, ragion per cui qui si trovano moltissime tipologie di frutti e vegetali che in Italia sono difficili da trovare o, se si trovano, sono carissimi e quindi non molto interessanti da impiegare. Fra spezie e materie prime c’è solo l’imbarazzo della scelta, soprattutto per quanto riguarda frutta e verdura. Moltissime sono le farms dove ci si può approvvigionare a costi accessibili e tutti i prodotti sono bio ed healty: i pesticidi non sono ammessi…

Al di là del marketing, quanto è diffusa l’attenzione per l’alimentazione salutare fra i consumatori?
A San Francisco il concetto di healty è radicato: se è vera la contraddizione tra il junk food – e quindi anche l’alcool – e il sano e fatto bene, è anche vero che il mercato è così vasto che ognuno può trovare quel che cerca. In qualsiasi supermercato di San Francisco o della Bay Aerea, l’area del food è contraddistinta dalla parola organic e le etichette spiegano precisamente la filiera e il tipo di coltivazione. Poi, chiaro, ci sono i donut e tutte le merendine coi grassi saturi e l’olio di palma… Per quanto riguarda gli alcolici, ci sono i tradizionali liquor store ma quasi sempre nei supermercati è presente una grande selezione di vini, liquori, spirit e anche prodotti per i cocktail geek: attrezzature, bitter, sciroppi e tutto il necessario per fare i drink a casa, che qui sono una tradizione, oltre a essere sempre presenti nelle feste in piscina (e non).

Massima cura dei dettagli

Torniamo alle tendenze nei locali…
Dopo più di sette anni a San Francisco, posso dire che le proposte sono molteplici come in tantissime altre parti del mondo. Quello che è apprezzabile è il mix di stili diversi, che trovano sfogo nei bar dove ci sono moltissimi bartender stranieri che lavorano accanto agli americani. E questi ultimi spesso sono americani da una generazione, così uniscono il loro imprinting familiare allo stile californiano, rendendolo unico. Inoltre la cura per i dettagli è maniacale, basti pensare al ghiaccio: al di là degli ice cube di qualità “firmati” Hoshizaki, Scotsman etc., moltissimi bar hanno il loro ice bar program, quindi big chunk, sfere, diamanti, ghiaccio cristallino sono all’ordine del giorno. Come dicevo, frutta, spezie e verdure di alta qualità la fanno da padrone e questo si riflette sulla qualità di tutti gli home made. Per i locali di alto volume, poi, ci sono delle factory che fanno prodotti home made, syrups e side, offrendo un’alternativa alla preparazione in proprio a prezzi alti ma non proibitivi. Ma non sono in molti a utilizzarli: nella maggioranza dei casi, infatti, l’organigramma dei bar team prevede bar manager, head bartender, bartender e bar back, e questi ultimi di solito sono responsabili proprio delle preparazioni home made, oltre che dello stock e del set up del locale.

Julio Bermejo e il Tommy’s Margarita

E per quanto riguarda gli spirit?
Direi che i trend seguono quelli dell’Europa e del mondo in generale: si beve tanta vodka, certo, ma il gin ha notevole successo e sono tantissime le piccole distillerie sparse qua e là. I whiskey americani tengono alta la bandiera statunitense e quindi li troviamo in moltissimi menù, ma sono molto diffusi anche gli scotch. Funzionano tutti i distillati di agave, vuoi per la vicinanza al Messico e vuoi perché a San Francisco c’è il Tommy’s Mexican Restaurant di Julio Bermejo (inventore del Tommy’s Margarita, ndr), il primo agave cocktail bar del mondo che ha già festeggiato i cinquant’anni di attività: un posto imperdibile per i drink (qui ho acquistato alcune bottiglie pregiate che ho portato a Milano alla Tequileria di Davide), il cibo davvero messicano e la simpatia e ospitalità del patron, soprannominato non a torto king of tequila

Come sono accolti i prodotti italiani?
C’è grande fermento intorno agli amari, intesi non solo come digestivi, come da noi, bensì come categoria più ampia in cui viene ricompresa la maggior parte dei prodotti italiani: amari, aperitivi, vermouth, fernet, grappa, limoncello etc… Esistono parecchi drink italian style: il Negroni riscuote parecchio successo ma anche lo Spritz funziona, così come funzionano i ristoranti italiani veri dove, oltre al cibo di qualità e al vino italiano, l’ospite normalmente si concede qualche cocktail classico della nostra miscelazione. Ricordo peraltro che San Francisco è la culla del Fernet Branca, che viene consumato in quantità che nemmeno in Italia… Il fernet è una categoria di amari molto apprezzata qui, utilizzata non solo liscia ma anche in miscelazione. Per dare un’idea, il bar program del primo locale in cui ho lavorato in California, Vina Enoteca, oltre a essere dichiaratamente italian style vedeva la presenza di più di quaranta amari, una decina di vermouth, bitter e così via.

Signature e locali da non perdere

I cocktail che “vanno di più”?
Le ricette originali, qui come in tutto il mondo, fanno parte del rinascimento della cultura del cocktail che stiamo vivendo da una ventina di anni. Anche in Italia, da quando ha aperto il Jerry Thomas speakeasy di Roma che, ricordiamolo, è stato il primo locale di qualità a rispolverare quei drink che prima si bevevano solo all’estero, spesso nei bar d’hotel, avviando un lavoro di ricerca e studio che oggi tanti professionisti dello stivale portano avanti. A San Francisco, per menzionarne uno, è molto famoso il Pisco Punch (di cui trovate in fondo all’articolo la ricetta della rivisitazione di Massimo Stronati, ndr).

Un ambiente del Bourbon and Branch, San Francisco

Le tendenze che osservi in California sono diffuse anche nel resto degli Stati Uniti?
Sono stato a Las Vegas, Los Angeles, San Diego, New Orleans e altri piccoli centri non lontani da San Francisco e il panorama è sempre lo stesso. Qui il cocktail è cultura, parte della tradizione e di conseguenza la cura e lo studio sono una premessa necessaria. Ma ciò che rende unica San Francisco sono le molteplici culture che qui si sono incontrate e si ritrovano in un bicchiere…

Qualche indirizzo da non perdere per i drink lover a San Francisco?
Oltre ai citati Trick Dog e Tommy’s Mexican Restaurant, un altro posto dove amo andare a bere è lo Smugglers Cove, pluripremiato tiki bar che ha pure pubblicato un omonimo libro (molto bello) sulla miscelazione tiki e sul rum. Ha una grande selezione di rum e propone i drink della tradizione tiki nel modo più autentico possibile: a San Francisco è un’istituzione e di recente ha raddoppiato aprendo il White Chapel, locale tutto dedicato al gin in una location straordinaria che ricorda la Londra vittoriana. Ha anche il Gin Tonic on Tap, che per un nerd come me è il top… E poi potrei menzionare tantissimi hide bar o speakeasy: uno tra tutti, il Bourbon & Branch, che non è in realtà un bar ma ben quattro diversi, con altrettanti diversi scenari, collegati tra loro. Per entrare bisogna prenotare, ma se non lo hai fatto la libreria uno dei quattro è aperta a tutti, anche agli sbadati…

Massimo Stronati

La ricetta del Pisco Inferno Punch di Massimo Stronati

Tecnica:
Dry Shake e Shake and Strain

Bicchiere:
Coppetta vintage

Ingredienti:
15 ml succo fresco di limone Meyers
15 ml chili peppers home made (sciroppo di zucchero infuso al chili tagliato con maraschino)
Q.b. bianco d’uovo
60 ml pisco Capurro Moscatel
Gocce di cordiale alla camomilla

Garnish:
Caramella sour alla fragola

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Giorgio Fadda (Iba): diario di viaggio a Cuba fra cocktail e rum

Stefano Fossati
Stefano Fossati
Redattore del tg Bluerating News, collaboratore delle testate economiche di Bfc Media, di Mixer Planet e naturalmente del Magazine ApeTime.

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