Un viaggio tra le tradizioni brassicole e i distillati nordici
Nuova tappa per il viaggio alla scoperta dei prodotti tipici e delle bevande tradizionali di tutto il pianeta. La scorsa settimana eravamo a Cuba, l’isola caraibica celebre per la produzione di distillati, in modo particolare del rum, utilizzato per la preparazione di numerosi cocktails. Nel nostro articolo però ci siamo soffermati a parlare di altre specialità cubane, che a loro volta fanno parte delle tradizioni locali: fra queste l’‘Aliñao’ (a base di canna da zucchero, uva, ciliegie e ananas) ed il vino de marañon ottenuto dalla fermentazione degli anacardi.
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Dal caldo del mar dei Caraibi, il tour oggi si sposta nelle fredde acque del mar del Nord e approda in Danimarca, Paese la cui prima parte del toponimo (‘Dani’) deriva dal nome dell’omonima tribù di stirpe germanica che fu fra le prime a popolare queste terre.
La birra danese: una tradizione millenaria
Un angolo d’Europa nel quale la bevanda tradizionale per eccellenza è la birra, dato che qui veniva realizzata già durante l’Età del Bronzo, come testimonia la famosa sepoltura della ‘Ragazza di Egtved’ (circa 1370 a.C.): nel tumulo, infatti, si trova un recipiente con resti di un prodotto brassato ancestrale realizzato con frumento, miele, mirtillo rosso e mirto di palude.
Il legame tra i Vichinghi e la birra
In seguito questa, come gli altri Paesi scandinavi, sarebbe diventata la terra dei Vichinghi (vissuti fra il 793 ed il 1066), una delle popolazioni del passato presso la quale la birra ha rivestito un ruolo culturale di maggiore importanza, soprattutto per quanto riguardava i guerrieri.
Veniva infatti considerata una vera e propria bevanda sacra ed un alimento centrale nella vita di tutti i giorni per le sue proprietà nutrizionali: in modo particolare era fondamentale per i combattenti in procinto di partire per i loro celebri viaggi via mare (sarebbero arrivati fino alle Americhe) dato che, grazie alla fermentazione, intesa come purificazione, si riteneva trasmettesse energia vitale.
Proprio per questo motivo, durante le lunghe traversate, portavano sempre con loro delle botti di birra: con ogni probabilità, come sottolineato da diversi studiosi, si trattava di versioni con un’elevata gradazione alcolica, che consentiva alle bevande di non deperire rapidamente dal punto di vista qualitativo diventando imbevibili.
Le birre nelle cerimonie vichinghe
Gli antenati dei moderni prodotti brassicoli però non rivestivano un ruolo centrale nella cultura vichinga solo in occasione delle esplorazioni: essi infatti erano fondamentali anche nel corso di diverse cerimonie, in primis quelle funebri dato che le birre funerarie facevano parte di un vero e proprio rito (chiamato ‘Sjaund’), scandito da una serie di bevute in onore del defunto, che si svolgeva sette giorni dopo la sua morte.
Con ogni probabilità, proprio per differenziare le finalità di utilizzo, ne esistevano due versioni: quella a bassa gradazione alcolica destinata alle celebrazioni sacre, conosciuta con il nome di ‘mungat’ e quella più ‘forte’ che veniva preparata per i combattenti e i viaggiatori e veniva chiamata “Bjorr” o “Oi” (da questi termini, con ogni probabilità, sono derivati quelli anglosassoni ‘beer’ e ‘ale’).
L’evoluzione della birra in Danimarca
La centralità culturale delle birre presso i Vichinghi non avrebbe non potuto influenzare chi in seguito avrebbe abitato questo territorio e proprio per questo motivo in Danimarca, fino almeno agli inizi del Novecento, nessuna fattoria poteva essere definita tale senza un birrificio casalingo.
Le birre artigianali danesi
Qui la bevanda, prodotta in piccole quantità, veniva realizzata con malto d’orzo, frumento, avena o segale a seconda del cereale coltivato localmente: a questo venivano aggiunti, oltre ovviamente all’acqua, linfa di betulla, luppolo, miele o zucchero, lievito e rametti interi di ginepro.
La fermentazione veniva effettuata in vasche di legno (chiamate ‘rostbunn’) che erano dotate di un rubinetto nella parte inferiore, il quale consentiva di depositare gli strati dei vari componenti: questa era la fase più delicata e importante del procedimento dato che il liquido, per poter defluire, non doveva essere troppo denso ma, al tempo stesso, non dovevano essere dispersi gli ingredienti che avrebbero determinato il profilo aromatico della bevanda.
Ciascuna famiglia aveva una propria ricetta che faceva in modo che la birra fosse più o meno alcolica e variasse di aspetto: in linea generale però si trattava quasi sempre di bevande dal sapore decisamente affumicato, amarognolo, fruttato e con sentori di ginepro.
Il contributo scientifico della Danimarca alla birra moderna
La centralità della birra nella quotidianità della popolazione danese non è mai scemata quindi ed in epoca moderna, ha anche prodotto un risultato molto importante che non tutti conoscono, ma che è alla base della qualità delle odierne birre a bassa fermentazione che dominano il palcoscenico mondiale dei prodotti brassati.
Si tratta del contributo dato alla ricerca sulla lievitazione della bevanda: a fine ’800 infatti il micologo Emil Christian Hansen, per conto dell’allora neonato birrificio Carlsberg, identificò il lievito ‘Saccharomyces Carlsbergensis’, oggi il più utilizzato per le sue ottime qualità organolettiche nella preparazione di questa tipologia di birra.
Oltre la birra: le altre bevande tradizionali danesi
Danimarca che, con gli altri Paesi della Scandinavia, condivide anche la produzione di numerosi distillati (come l’acquavite ottenuta dal grano o dalle patate) e di bevande come il ‘gløgg’ (prodotto simile al vin brulè la cui ricetta prevede l’impiego di vino rosso, uva passa e mandorle).
Questo piccolo territorio, fra quelli scandinavi, è però senza dubbio quello a cui la cultura della birra si lega maggiormente: motivo per cui era doveroso soffermarsi a raccontare dei prodotti brassati, data la centralità che rivestono anche per l’odierna popolazione danese, esattamente come accadeva per gli antichi Vichinghi.
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