Nuovo appuntamento con il viaggio alla scoperta dei prodotti tipici di ogni angolo del pianeta che, nelle due precedenti puntate, si trovava in Corea del Sud. Oggi invece il tour lascia l’Asia e torna in Africa per approdare in Costa d’Avorio.
La Costa d’Avorio, affacciata sul Golfo di Guinea, è caratterizzata da un’insidiosa morfologia costiera, fatta di profonde lagune, arcipelaghi sabbiosi e promontori rocciosi e da un entroterra che invece si adatta a diverse tipologie di coltivazioni.
Per questo motivo, oltre al fatto di poter contare su una delle economie più solide di tutto il continente, quello ivoriano è uno dei palcoscenici africani più variegati per quanto riguarda i prodotti tipici: quello maggiormente apprezzato e diffuso è senza dubbio il ‘Tchapalo’ a base di miglio che, per preparazione e caratteristiche, ricorda il ‘Dolo’ del vicino Burkina Faso.
Viene realizzato in modo particolare nel nord del Paese, dove vivono le comunità Senufo, Lobi e Koulango: la preparazione dura alcuni giorni e segue un vero e proprio rituale affidato per tradizione alle donne, come avviene in altri Paesi africani di cui abbiamo già parlato.
Come primo passaggio, s’immerge il miglio in acqua per un periodo tra le 7 e le 10 ore e lo si lascia germogliare coperto con foglie di manioca affinché si mantenga umido: dopo tre giorni di asciugatura, il cereale viene macinato, riposto in una pentola (chiamata ‘canari’) con acqua e qui è cotto per 6-8 ore.
Al liquido filtrato così ottenuto, chiamato ‘tossé’, prima di lasciarlo fermentare per una notte in modo tale che aumenti la gradazione alcolica, si aggiunge il lievito e, talvolta, viene insaporito con spezie o pepe: in alcune preparazioni è prevista anche l’aggiunta di frutti quali la banana.
Poiché non si mantiene a lungo, viene venduto solo a livello locale e deve essere consumato poco dopo la sua produzione: questa peculiarità, unita alla concorrenza delle bevande industriali (anche importate), rende difficile la sopravvivenza di questa bevanda tradizionale, prodotta artigianalmente da secoli, che riveste ancora un ruolo centrale presso diversi gruppi etnici ivoriani.
ll ‘Liha’ invece è una bevanda che si ricava dal granoturco, una delle coltivazioni più importanti della Costa d’Avorio. La preparazione prevede che il mais venga lavato e lasciato a bagno in acqua per una notte intera prima di essere trasferito in un sacco di iuta dove germina: il mais germogliato viene quindi essiccato al sole per cinque giorni.
Una volta asciutto, il cereale viene pestato in un mortaio per ottenere una farina che deve essere scaldata con dell’acqua; si aggiunge quindi dello zucchero caramellato ed il composto viene portato a ebollizione: quando la colorazione tende al bruno ed il profumo diventa dolce la bevanda è pronta.
Il liquido viene tolto dal fuoco e lasciato fermentare per quattro giorni aggiungendo dell’altro zucchero affinché sviluppi l’aroma desiderato. Il Liha si serve freddo o a temperatura ambiente ed è consumato specialmente in occasione delle feste sia da solo che durante i pasti.
Costa d’Avorio che è anche uno dei maggiori esportatori africani di banane, in modo particolare verso l’Europa. La pianta del banano, inoltre, costituisce da sempre un’importante fonte di sostentamento per la popolazione locale che dai suoi frutti ricava una bevanda assai apprezzata e diffusa.
La ricetta prevede l’utilizzo di farina di miglio indiano germogliato e di una speciale varietà di banana detta ‘ndizi ngombe’. La preparazione comporta un procedimento relativamente lungo e difficoltoso, nel quale, come primo passaggio, le banane vengono raccolte dalla pianta e conservate sopra un camino o appese al soffitto delle capanne tradizionali dove la temperatura è sufficientemente elevata da accelerare il processo di maturazione.
Quando il frutto è maturo (di solito occorrono 5-7 giorni), la buccia viene rimossa e la polpa viene bollita in acqua finché la mistura non assume una colorazione marrone rossastra: le banane sbucciate vengono cotte fino ad ammorbidirsi e lasciate raffreddare per tre giorni.
A questo punto la polpa di banana viene allungata con dell’altra acqua e filtrata attraverso uno strato di erba della savana e felci sovrapposte a grandi foglie di banano adagiate su una vasca inclinata: il liquido filtrato viene fatto riposare per alcune ore prima di essere mescolato con della farina di miglio maltato. La miscela viene quindi lasciata fermentare per un paio di giorni fino ad ottenere una bevanda dal tenore alcolico relativamente elevato (fino all’8% circa).
Queste quindi le tre bevande tradizionali maggiormente diffuse in Costa d’Avorio che, ancora oggi, svolgono un ruolo centrale nel corso di diverse tipologie di ricorrenze, come le feste religiose, i banchetti nuziali e, in alcune aree del Paese, i riti tribali d’iniziazione.
Qui però, contrariamente a quanto avviene nel confinante Burkina Faso (uno dei Paesi più poveri del mondo), date le migliori condizioni economiche della popolazione, la loro diffusione è sempre più contrastata dalla presenza delle industrie alimentari, che propongono anche le versioni non artigianali di questi prodotti tipici.