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Le bevande tradizionali del Benin

Nuovo appuntamento con la rubrica dedicata ai prodotti tipici di ogni angolo del pianeta. La scorsa settimana il tour si trovava in America centrale, per la precisione in Belize: qui, come visto, oltre ad un panorama birrario artigianale in via di sviluppo, esistono due bevande tradizionali.

La prima  è un prodotto a base di mais conosciuto come ‘Tesguino’ o ‘Atole’ le cui origini sono legate alla civiltà Maya che raggiunse il massimo splendore  fra il 250 ed il 900 d.c.. La seconda, invece, è il ‘pulque’: si tratta di un fermentato ricavato dall’Agave salmiana, una pianta grassa tipica di questo territorio.

Il viaggio oggi, per la terza volta dalla partenza (dopo aver visitato l’Algeria e l’Angola), torna in Africa e più precisamente nella parte occidentale di questo sconfinato continente per approdare in Benin, il Paese affacciato sul golfo di Guinea e confinante con Togo, Burkina Faso, Niger e Nigeria.

L’origine del nome Benin non è ancora certa e, per questo motivo, sono state fatte diverse supposizioni dagli studiosi: secondo alcuni deriverebbe dalla parola “Bini”, antico modo di chiamare il popolo degli Edo, un’etnia nigeriana che occupò questo territorio dal XIII fino al XVIII sec. dando vita ad un regno.

Un’altra corrente di pensiero lo lega al termine “birnin” che significa “territorio fortificato” in riferimento alle mura che proteggevano l’antica Benin City in Nigeria; altri ancora lo considerano una storpiatura portoghese del termine “Ubini”, ovvero l’antico nome di questo territorio.

Il Paese, oggi, è popolato da 40 differenti gruppi etnici: motivo per cui vi sono numerose bevande tradizionali ciascuna delle quali utilizza alcune delle poche materie prime offerte dal territorio, in gran parte arido fatta eccezione per le aree bagnate dal fiume Niger e quelle situate lungo la costa.

Nella parte settentrionale del Benin, ad esempio, si prepara il “Tchoukoutou”, ovvero una bevanda a base di un cereale quale il sorgo rosso o scuro, dall’aspetto torbido e dal gusto tendenzialmente acidulo dato dai lieviti selvaggi: si può degustare più giovane, con un gusto più dolce, oppure più fermentata e quindi più acida.

La leggenda narra che questo prodotto sia nato per sbaglio: la seconda moglie di un uomo della tribù dei Tammari, popolo che pratica la poligamia, lasciò sotto la pioggia un sacco di sorgo. Dopo poco, il cereale iniziò a germogliare: resasi conto dell’errore, la donna chiese aiuto alla prima moglie e insieme lo stesero al sole per asciugarlo. Per cercare di salvare il salvabile, prepararono una specie di porridge non immaginando però che gli avanzi potessero avere strani effetti inebrianti.

Nelle regioni meridionali, invece, si produce il “Tchapalo”, una bevanda a base di miglio dall’aspetto più limpido e meno alcolica della precedente: talvolta è aromatizzata con del peperoncino, del pepe o delle altre spezie che conferiscono a ciascuna ricetta aromi e sapori diversi.

Si tratta di un prodotto molto antico che riveste una grande importanza culturale e sociale soprattutto presso le comunità dei Fon e degli Yoruba (le più numerose del Benin) stanziate nelle regioni costiere del Paese, al confine con Togo da una parte e Nigeria dall’altra.

La preparazione del tchapalo richiede alcuni giorni ed è tradizionalmente preparato dalle donne: per prima cosa s’immerge il miglio in acqua per un periodo che va dalle sette alle dieci ore e viene lasciato germogliare, coperto con foglie di manioca o taro per mantenerlo umido.

Successivamente viene lasciato asciugare al sole per tre giorni: una volta asciutto il miglio viene macinato, riposto in una pentola (chiamata ‘canari’) con acqua e cotto per sei, otto ore. Il liquido filtrato ottenuto è chiamato ‘tossé’: a questo si aggiunge del lievito e si lascia fermentare durante la notte.

Il risultato finale è una bevanda che continua a fermentare nel tempo, aumentando così il proprio tasso alcolico. In passato veniva preparato esclusivamente dalle donne della tribù Senufo le quali imparavano il procedimento durante la loro iniziazione alla Sandogo, una società segreta femminile.

Oggi questo sapere viene tramandato soprattutto dalle giovani donne e da coloro che seguono le tradizioni tribali e preparano ancora questa bevanda che è consigliata durante la gravidanza e si ritiene abbia proprietà lassative aiutando in questo modo a controllare il peso.

Il tchapalo viene inoltre utilizzato durante i rituali che celebrano gli antenati e gli spiriti: viene infatti ritenuto un valido mezzo di comunicazione tra questo mondo e quello non tangibile, motivo per cui è possibile berlo solo dopo averlo offerto agli spiriti. Spesso, infine, fa parte della dote nuziale delle giovani spose, motivo per cui viene servito durante i banchetti nuziali.

Poiché non si mantiene a lungo, il tchapalo è venduto solo a livello locale e deve essere consumato poco dopo la sua produzione: una bevanda tradizionale la cui sopravvivenza, nei Paesi di quest’area dell’Africa economicamente più sviluppati (come il Senegal), è messa in pericolo dalle bevande industriali locali, ma soprattutto da quelle importate.

Un fatto che, a causa di diversi fattori, in primis l’elevatissimo tasso di povertà e una rete per i trasporti via terra molto limitata che non consentono alla maggior parte della popolazione di acquistare tali prodotti, non si verifica in Benin: questo il motivo per cui le bevande tradizionali come il tchapalo, che fanno parte delle diverse culture che animano il Paese, qui continuano ad essere assai diffuse e apprezzate.

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Nicola Prati
Nicola Prati
Classe 1981. Subito dopo la maturità classica, inizia a collaborare con la ‘Gazzetta di Parma’ (2000): una collaborazione giornalistica che durerà otto anni. Contemporaneamente, dal 2005 al 2008, fa parte dell’ufficio stampa del Gran Rugby Parma. Successivamente, fra le altre esperienze lavorative, quella nell’ufficio comunicazione interna di Cariparma Credit Agricole e nella direzione relazioni esterne del gruppo Barilla. Le sue due più grandi passioni sono tutti gli sport e la musica. A queste, si aggiungono la lettura, i viaggi e la cucina. Collabora con ApeTime da gennaio 2021.

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