Le donne bevono cocktail dolci e leggeri mentre gli uomini preferiscono drink forti e strutturati? Alla Palermo Cocktail Week le bartender hanno fatto chiarezza sui gusti femminili in fatto di bere miscelato.
I cocktail non sono più “cosa da uomini” da molti anni. Ma che cosa chiedono davvero le donne quando ordinano un drink, al di là di convinzioni stereotipate che, osservando quello che succede nei bar, spesso si rivelano lontane dalla realtà? Proprio le professioniste del mondo del bartending hanno parlato dei gusti femminili nel bere miscelato alla Palermo Cocktail Week, in un talk organizzato con il sostegno di Bibite Polara e guidato da Chiara Mascellaro, brand ambassador del marchio.
Lontano dal classico format delle masterclass, l’evento si è configurato come uno spazio di confronto, un’occasione per ascoltare storie ed esperienze personali delle donne del settore, scoprendone il contributo e le sfide.
Che cosa beve il pubblico femminile?
Tra i temi centrali, il rapporto tra gusto personale e pregiudizi, spesso associati al consumo femminile. Chiara Mascellaro ha aperto la discussione con una provocazione: “Noi che siamo qui oggi, donne del settore, non beviamo cocktail dolci. Eppure, spesso i clienti, influenzati dalle mode, associano le donne a drink più zuccherini. Ma chi crea davvero queste tendenze? Siamo noi bartender o sono i brand a guidarle? Non penso che la questione riguardi solo il gusto, ma piuttosto la conoscenza”.
D’accordo Ester Badami, ospite del talk, che si è focalizzata sul ruolo educativo dei bartender: “Lo Spritz è intramontabile, soprattutto tra le donne che cercano un aperitivo fresco e leggero. Ma credo sia un errore generalizzare parlando di un ‘palato femminile’. Il nostro compito come bartender è educare il cliente, guidandolo verso scelte più consapevoli. Se non siamo noi a farlo, chi dovrebbe occuparsene?”.
Una bartender dal pubblico ha notato, sulla base dell’esperienza quotidiana dietro il bancone, che “in realtà, molte donne amano cocktail strutturati, persino i Negroni o i Manhattan, ma non li ordinano perché non si sentono abbastanza sicure di sapere cosa aspettarsi. Educare il pubblico significa dare loro la fiducia di osare”.
Vecchie convenzioni sociali
E’ emerso comunque un divario tra le scelte personali delle donne del settore e quelle del pubblico femminile più ampio. Le professioniste osano e scelgono drink complessi, mentre la cliente media tende verso scelte più tradizionali, spesso condizionata da un immaginario collettivo. “Il nostro lavoro non è solo preparare drink, ma proporre qualità e innovazione. Abbiamo la responsabilità di rompere stereotipi e offrire opzioni diverse, senza mai scendere a compromessi con il gusto o la qualità”.
Gli stereotipi sono quelli legati ad ataviche convenzioni sociali. Così come le donne vengono associate a gusti più morbidi e meno aggressivi, questa tendenza è spesso frutto della mancanza di conoscenza dei prodotti e della semplificazione delle scelte. Non di rado, per convenzione, si opta per cocktail low alcol, fruttati o floreali, non perché li si apprezzino particolarmente, ma perché socialmente percepiti come più adatti. Allo stesso modo, gli uomini scelgono spesso drink più strutturati o alcolici, associando distillati come i whisky torbati a un carattere “maschile”, forte, anche se i dati ci dicono che molte donne apprezzano questi stessi gusti decisi.
Al di là del gusto, quindi, sono le convenzioni sociali a influenzare le scelte, spesso in maniera del tutto inconscia. Le donne che hanno una conoscenza più approfondita o che lavorano nel settore scoprono gusti completamente diversi da quelli a cui sono state abituate, così come molti uomini si rivelano amanti di bevande dolci.
Ester Badami, Sciurum: guarda quanto è figa la scienza
Come sottolineato da Chiara Mascellaro ed Ester Badami, bartender di Sciurum a Palermo, il ruolo del bartender non riguarda solo la creazione di cocktail, ma anche la missione di guidare i clienti verso scelte più consapevoli, rompendo gli schemi convenzionali. Ester, con il suo background da biologa, ha dimostrato come la mixology possa essere tanto scienza quanto arte. Il suo percorso di studi si riflette nei suoi esperimenti, che vanno oltre la semplice miscelazione di ingredienti. Ad esempio, il cambiamento di colore di un gin infuso al fiordaliso o l’effetto delle luci UV su gin al chinino e clorofilla non sono solo giochi visivi, ma veri e propri esperimenti scientifici che arricchiscono l’esperienza del cocktail, coinvolgendo il cliente in un processo che stimola la curiosità e rompe le barriere della tradizione.
La scienza, con i suoi effetti visivi e interattivi, può infatti attrarre una fetta di mercato che, magari non avvezza al consumo di cocktail, si avvicina per il puro effetto “wow” che una drink experience può regalare. Nell’approccio di Badami, la mixology diventa un ponte tra arte e scienza, tra emozioni e conoscenza. È una forma di espressione che può essere tanto educativa quanto sensoriale, liberando il consumatore dalle convenzioni e invitandolo a esplorare nuove dimensioni del gusto e della percezione.
Barbara Hanna, Terra Natural Spirit: chiedete di più agli ingredienti
Barbara Hanna, chef brasiliana trasferitasi in Sicilia, ha offerto un punto di vista unico sul bartending, fortemente influenzato dal suo background culinario: “Quando creo un drink, parto sempre dalla materia prima. Ogni ingrediente ha un potenziale enorme e credo che dovremmo esplorarne ogni parte e ogni stato possibile”, ha spiegato, mettendo in evidenza l’importanza di trasformare anche le materie prime più semplici in qualcosa di speciale. “Il mio obiettivo è evitare lo spreco e rendere protagonista ogni elemento, anche quello che normalmente verrebbe scartato”.
Un esempio concreto è il pomodoro, che Hanna utilizza in molteplici varianti, dal crudo al quasi troppo maturo. “Il pomodoro ha una storia da narrare”, ha sottolineato; “Raccontarla attraverso un drink lo rende ancora più significativo. Non si tratta solo di creare un cocktail, ma di offrire un’esperienza a tutto tondo che parli del percorso dell’ingrediente dalla sua nascita alla sua trasformazione”. E ha aggiunto: “Non dobbiamo limitarci a un uso semplice dell’ingrediente, ma esplorare le sue potenzialità in tutte le sue sfumature. Ogni stato di un ingrediente – dalla freschezza all’essiccazione, dalla cottura alla fermentazione – può arricchire un cocktail e creare una connessione più profonda con il cliente”.
Un altro punto cruciale è il legame crescente tra cucina e bar: “La cucina e il bar sono due mondi che si interconnettono sempre di più”, ha affermato, citando l’uso del sale nei cocktail come esempio. Una tecnica che prende spunto dalla gastronomia e sta trovando applicazione anche nella mixology, contribuendo a cambiare il volto del bartending. “Il sale non è solo questione di sapore, ma di equilibrio, di esaltare le note di un distillato o di un ingrediente. È una tecnica che sta creando drink più complessi e raffinati”.
Per Barbara, la sfida è quella di approfondire il dialogo tra cucina e bar, rendendo i drink parte integrante di un percorso gastronomico: “Ogni ingrediente che scegliamo, ogni sua trasformazione, può dare tantissimo, creando un’esperienza che coinvolge tutti i sensi”.
Sofia Mammana, Forno Santa Maria: “Il bar mi ha dato sicurezza”
Sofia Mammana, affermata bartender palermitana, ha condiviso la sua trasformazione da giovane introversa a professionista sicura di sé, grazie al lavoro nel mondo del bar. “All’inizio non sapevo nemmeno fare un espresso. La mia timidezza era un ostacolo enorme. Ma il bartending mi ha insegnato a relazionarmi con gli altri e a superare le mie paure”, ha detto.
Dopo anni di gavetta, ha lavorato in contesti prestigiosi (ora è alla pizzeria cocktail bar Forno Santa Maria), affinando tecniche e sensibilità verso il cliente: “Il bar è un palcoscenico. È importante trovare la propria identità e non limitarsi a replicare ricette”.
Manuela Chiaramonte, Cantavespri: disciplina agonistica
L’intervento di Manuela Chiaramonte, sportiva di livello agonistico e bartender del noto locale palermitano Cantavespri, ha portato una prospettiva interessante. Caratterizzata da un approccio rigoroso e metodico nel suo lavoro dietro il bancone, ha parlato di come la disciplina sportiva e l’esperienza nel mixare cocktail siano complementari.
La sua carriera nello sport le ha insegnato a superare i limiti e sperimentare nuove sfide, una filosofia che applica anche alla mixology. Per lei, ogni cocktail è una performance, un’opportunità per mettere in gioco la propria creatività e la propria esperienza nel capire e interpretare i gusti. Come nello sport, dove la preparazione e la tecnica sono fondamentali, anche nella preparazione di un cocktail ci sono regole che devono essere rispettate, ma sempre con l’idea di esplorare nuove possibilità.
Ascoltare prima di tutto
Chiara Mascellaro ha concluso il talk sottolineando l’importanza delle storie personali nel bartending: “Non si tratta di insegnare, ma di ascoltare. Ogni drink racconta una visione, una passione, una storia. Ed è questo che rende il nostro lavoro unico”.
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