Seconda tappa consecutiva per il viaggio nella penisola coreana dove, come visto la scorsa settimana, il consumo dei prodotti tipici si basa su regole precise: una vera e propria cultura del bere le cui radici risalgono al quattordicesimo secolo, quando durante le ‘Hyanguemjurye’ (ovvero le riunioni dei seguaci del confucianesimo) si discuteva e si brindava sempre mostrando buone maniere e seguendo un’etichetta ben precisa.
Le bevande fermentate, soprattutto un distillato quale il ‘soju’ (a base di diversi cereali) ed il vino di riso o di patate ‘makgeolli’, costituiscono una delle basi della cultura coreana: basti pensare che in ambito lavorativo è vietato mancare agli ‘hoesik’, ovvero i brindisi o le cene fuori dall’ufficio che si tengono fra colleghi almeno due volte al mese.
Le origini del soju risalgono al XIII secolo, quando i mongoli della dinastia Yuan portarono in Corea l’arte della distillazione appresa in Medio Oriente durante le invasioni persiane: questi infatti producevano l’acquavite all’anice ‘arak’, motivo per cui il distillato è conosciuto anche con il nome ‘arak-ju’.
Oggi il soju non viene più prodotto solo con i cereali, ma si utilizzano anche altri amidacei come la patata dolce, la tapioca e la melassa. Questo liquore di colore chiaro viene anche aromatizzato con frutti quali la pesca che gli conferiscono un aroma particolarmente dolce: per quanto riguarda invece la gradazione alcolica, nella versione maggiormente diffusa, si aggira attorno al 20%.
Il consumo di questa bevanda in Corea costituisce una vera e propria consuetudine sociale: viene infatti offerto in ogni circostanza, dai brindisi fra amici alle cene formali fra colleghi di lavoro. Secondo uno studio effettuato dalla rivista americana ‘Qartz’, ciascun coreano, in media beve 13,7 shottini (da 90ml ciascuno) a settimana.
Il Makgeolli invece è una bevanda tradizionale, conosciuta soprattutto nella versione a base di riso, che vanta una storia plurisecolare: dato che però in alcune aree della penisola la coltivazione di questo cereale, a causa del clima, è scarsa e difficile, è molto diffusa anche una ricetta a base di patate.
Nel secondo caso quindi gli ingredienti principali sono i tuberi ed il nuruk, ovvero uno starter tradizionale coreano per le fermentazioni che si realizza partendo dal grano e dall’orzo che vengono inumiditi e lavorati fino ad ottenere la forma di gallette che vengono appese per un mese in una stanza apposita chiamata ‘ondol’.
La lavorazione per ottenere il makgeolli di patate è abbastanza lunga e richiede molta pazienza: si inizia con l’immersione dei cereali in acqua fredda per almeno un’ora. Una volta scolati, vengono fatti bollire in una pentola per alcune ore fino a che non si amalgamano.
Terminata la cottura, i cereali vengono adagiati sopra ad un piano, come ad esempio un tappetino di bamboo: questo per fare in modo che gli elementi rimangano uniti. Nel frattempo si fanno bollire le patate che verranno poi schiacciate ottenendo una poltiglia.
A questo punto si aggiunge il nuruk: dato che si presenta a forma di galletta, lo starter viene spezzato con le mani e fatto sciogliere all’interno di una ciotola colma d’acqua: per effettuare questa operazione si usano le mani dato che questo metodo consente di ottenere la giusta consistenza, ovvero né troppo liquida né troppo solida.
L’intero composto viene quindi versato in un contenitore di terracotta il quale deve essere coperto con un telo per un paio di giorni avviando una prima fermentazione. Trascorso questo arco temporale, il recipiente viene tappato e la fermentazione continua per altre tre settimane.
Si ottiene quindi una bevanda leggermente dolce e con una gradazione alcolica che si aggira intorno ai 17 gradi. Il makgeolli di patate è un prodotto tradizionale di uso quotidiano, apprezzato per essere molto rinfrescante: questo il motivo per cui si consuma prevalentemente durante la stagione estiva servito in piccole coppette di bronzo.
L’’Oksusuyeot Chungju’ invece è una bevanda fermentata tradizionale a base di mais della qualità di colore giallo scuro. La preparazione del distillato inizia con la macinazione del granoturco essiccato in un mulino o in un mortaio per ottenere la farina.
Questa, una volta pronta, viene messa in ammollo per una notte e, successivamente, è utilizzata per preparare un porridge di mais al quale si aggiunge del malto: la miscela viene fatta bollire fino a che non si riduce del 70% circa rispetto alla quantità originale.
Dopo questo procedimento, nel porridge raffreddato si aggiunge del lievito che è necessario per la fermentazione: il tempo necessario per questo passaggio dipende da stagione a stagione, ma richiede solitamente 10 giorni. Il prodotto finale presenta un aroma dolce e leggero.
Una menzione infine per il ‘Sujeonggwa’, ovvero un punch a base di cachi, zenzero e cannella. Di solito questa bevanda, particolarmente dissetante, viene servita fredda come dessert sia alla fine di cene in famiglia sia per celebrare il nuovo anno o in occasione dei matrimoni.
Apprezzato anche per i suoi effetti benefici sulla digestione e sulla circolazione del sangue, presenta un sapore intenso grazie alle spezie utilizzate. Il ‘Sujeonggwa’ può essere consumato anche caldo in inverno ed è un toccasana per curare tosse e raffreddore grazie alla presenza dello zenzero.
Queste quindi sono le bevande tradizionali più diffuse nella parte meridionale della penisola coreana, che, in alcuni casi, hanno una storia antichissima: una versione del ‘Makgeolli’ non distillata, ad esempio, veniva realizzata già nel I secolo d.c.. Si trattava della prima referenza di un palcoscenico di prodotti tipici oggi sorprendentemente variegato ed interessante.