HomeBirraNon vengono impiegati solo luppoli americani per produrre birra

Non vengono impiegati solo luppoli americani per produrre birra

Quali sono gli altri più utilizzati dai birrifici di tutto il mondo?

In un articolo pubblicato la scorsa settimana abbiamo raccontato la storia e parlato delle caratteristiche dei luppoli coltivati negli Stati Uniti: piante in grado di donare alla birra un profilo aromatico molto intenso e piacevolmente agrumato, motivo per cui sono diventate quelle maggiormente utilizzate per produrre la bevanda.

Un successo planetario materializzatosi a partire dagli anni ’80 del secolo scorso e consolidatosi nell’ultimo decennio grazie al successo delle IPA statunitensi, soprattutto al cospetto delle nuove generazioni.

Nonostante questo, però, le ricette birrarie, comprese quelle delle varianti stilistiche più moderne, prevedono l’impiego anche di luppoli non americani. Infiorescenze con una storia e caratteristiche sensoriali tutte da scoprire: ecco quali sono le più celebri e apprezzate.

Saaz: il cuore della tradizione ceca

La coltivazione del luppolo nella zona corrispondente all’attuale Repubblica Ceca risale a più di 1000 anni fa e già allora ne venivano esportate grandi quantità verso la Germania, in particolare in Baviera. Le varietà coltivate in questa regione non sono molte e tra queste il Saaz la fa da padrone.

Originario della zona intorno alla cittadina di Zatec, ha dato origine allo stile birrario a bassa fermentazione più famoso al mondo: il Pilsner.

Fu il birraio bavarese Joseph Groll, nel 1842, a mettere insieme il lievito a bassa fermentazione che aveva portato con sé dalla Baviera, il malto chiarissimo prodotto nella zona di Plsen e il luppolo Saaz per dare vita alla prima birra chiara a bassa fermentazione.

Queste infiorescenze, insieme a quelle di altri luppoli europei, vengono definite ‘nobili’ per via dell’aroma delicato e leggermente speziato che donano alla bevanda: sono rinomate anche per apportare dei sentori erbacei alla birra, senza che questi risultino invadenti.

East Kent Goldings: l’eleganza britannica

I luppoli arrivarono in Inghilterra verso la fine del 1400 importati da alcuni commercianti olandesi. Essi trovarono terreno fertile per la coltivazione nella zona sud-est dell’isola, in particolare in quella che oggi è la regione del Kent e, in questa zona, venne quindi coltivato il primo luppolo britannico.

Fu rilasciato ufficialmente all’inizio dell’800 con il nome di East Kent Goldings e oggi viene coltivato da una ristretta cerchia di agricoltori nella medesima area e non può essere piantato altrove. Insieme al Fuggle, che rispetto all’East Kent Goldings è meno elegante, costituisce il marchio di fabbrica delle tradizionali bitter inglesi.

Utilizzato sia come elemento amaricante che come aroma, rilascia un bouquet di profumi che spazia dal floreale (principalmente lavanda) all’erbaceo fino a toni agrumati (limone e un tocco leggero che ricorda la marmellata di arancia). Gli addetti ai lavori vi riconoscono anche una leggera nota speziata e terrosa.

Hallertau Mittelfrüh: il luppolo delle lager europee

Probabilmente è il luppolo meno noto al grande pubblico rispetto a tutti quelli che abbiamo citato fino ad ora, sebbene abbia fatto la storia delle basse fermentazioni. Coltivato probabilmente già alla fine dell’800, si è presto diffuso nell’Europa centrale, dove nello stesso periodo le basse fermentazioni hanno iniziato a prendere il sopravvento sulle alte fermentazioni.

È il padre di numerosi luppoli nobili europei, di cui incarna in maniera emblematica il profilo delicato, fine e allo stesso tempo complesso. Il suo aroma ricorda il profumo dell’erba appena tagliata e dei campi in fiore; presenta note speziate difficilmente definibili ma ben percepibili.

In secondo piano troviamo sentori agrumati molto tenui, specie se confrontati con quelli che donano alla bevanda i luppoli americani. Il Mittelfrüh è assai delicato e la pianta viene facilmente attaccata da parassiti, portando spesso a raccolti poco fruttuosi. Rimane comunque il simbolo delle lager di stampo europeo, da cui anche i birrai statunitensi traggono ispirazione.

Sorachi Ace: il luppolo giapponese più controverso

Tra i luppoli più controversi della storia (gli addetti ai lavori infatti o lo amano o lo odiano) troviamo il Sorachi Ace, sviluppato in Giappone verso la fine degli anni ’70 da Yoshitada Mori, un ricercatore del birrificio Sapporo. Il suo nome deriva dall’omonimo distretto della cittadina giapponese di Hokkaido.


L’obiettivo era quello di creare qualcosa di molto simile al luppolo nobile ceco Saaz, ma con più potere amaricante. Il risultato, però, non fu quello sperato. Mentre a livello di analisi chimiche i livelli erano quelli ricercati, l’aroma apparve fin da subito molto diverso: venne definito ‘strano’ e quindi messo da parte.

Fu nel 2006 grazie ad alcuni coltivatori che questa infiorescenza si riaffacciò sul mercato: i birrifici craft la apprezzarono fin da subito per i suoi intriganti aromi citrici, anche se basta poco per farla virare su sapori non troppo piacevoli, come quelli dei medicinali. Tutt’oggi viene prodotta in piccole quantità, ma la sua storia e il suo aroma così particolare lo hanno reso celebre.

Nelson Sauvin: l’anima neozelandese della birra

Chiudiamo questa carrellata con un altro luppolo dall’aroma unico e particolare, questa volta di origini neozelandesi. È stato infatti sviluppato e viene coltivato nella regione della città di Nelson, da cui prende la prima parte del nome. La seconda deriva invece dal suo aroma unico e particolare, che ricorda quello del vino bianco, in particolare del Cabernet Sauvignon.

In sottofondo troviamo i classici aromi fruttati dei luppoli che in questo caso ricordano da vicino l’uva spina: sono presenti anche dei sentori tropicali, soprattutto quello del frutto della passione. Sebbene decisamente più utilizzato rispetto al Sorachi Ace, il Nelson Sauvin non ha una grande diffusione.

Tuttavia, è apprezzato e conosciuto per il sapore davvero particolare, che lo rende immediatamente riconoscibile e fondamentalmente unico nel mondo dei luppoli.

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Nicola Prati
Nicola Prati
Classe 1981. Subito dopo la maturità classica, inizia a collaborare con la ‘Gazzetta di Parma’ (2000): una collaborazione giornalistica che durerà otto anni. Contemporaneamente, dal 2005 al 2008, fa parte dell’ufficio stampa del Gran Rugby Parma. Successivamente, fra le altre esperienze lavorative, quella nell’ufficio comunicazione interna di Cariparma Credit Agricole e nella direzione relazioni esterne del gruppo Barilla. Le sue due più grandi passioni sono tutti gli sport e la musica. A queste, si aggiungono la lettura, i viaggi e la cucina. Collabora con ApeTime da gennaio 2021.

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